Prima che partisse per Wamba, ho promesso a Lucia Trevisiol che, al suo ritorno, mi sarei trasformata in un “inviato speciale” per provare a cogliere i momenti, le emozioni e gli incontri che hanno scandito il suo viaggio.
Tenterò di raccontare soprattutto per mantenere vivo il legame e il dialogo con i sostenitori di “Insieme per Wamba” e con i lettori de L’Incontro, molti dei quali risiedono nei Centri don Vecchi, che hanno sempre contribuito con grande generosità alla realizzazione delle diverse iniziative.
Ecco perché le righe che mi appresto a scrivere verranno pubblicate sul sito dell’Associazione e sul settimanale, nella speranza di raggiungere il maggior numero di persone possibile.
Avevo immaginato di sedermi ad ascoltare munita di carta e penna, però ci siamo ritrovate a chiacchierare un po’ per caso e mi sono lasciata rapire da un resoconto che mi restituiva immagini nitide e toccanti come fotografie!
Pur non avendo preso appunti, farò del mio meglio per non tralasciare dettagli importanti e confido nell’aiuto della mia interlocutrice, che leggerà l’articolo in anteprima, per colmare eventuali lacune.
Sin dall’inizio della nostra conversazione, ho percepito che questo viaggio, indispensabile e proficuo come gli altri, è stato particolare per una serie di ragioni.
La prematura scomparsa di padre Franco, che per anni ha guidato la comunità di Wamba, ha lasciato un vuoto incolmabile, che rischiava di pesare come un macigno sul cuore di tutti coloro che gli hanno voluto bene e hanno lavorato al suo fianco.
L’intensità e l’autenticità della sua esperienza e della sua fede, invece, sono diventati il sostegno di chi ha raccolto il testimone e di padre Charles, la cui presenza ha garantito la continuità del contatto con i villaggi, spesso molto distanti l’uno dall’altro.
Quando sono venuti a mancare i punti di riferimento (nella persona di padre Franco o delle suore), gli ideali, a cui nessuno ha mai rinunciato, si sono rivelati fondamentali per poter continuare a camminare.
Lo testimonia il fatto che il ruolo di Lucia e dell’Associazione è stato riconosciuto dalle comunità locali, al di là delle opere realizzate.
Gli anziani, infatti, hanno pregato per lei, le hanno donato una collana e, riferendosi agli aiuti ricevuti, hanno citato l’episodio dell’obolo della vedova che decide di donare tutto ciò che possiede.
La scelta di quest’immagine dimostra quanto la solidarietà venga percepita come reale volontà di condivisione e di sostegno allo sviluppo.
E, dopo gli anziani, è arrivato il momento d’incontrare i piccoli, a cominciare dai bambini di strada di suor Alice, che hanno organizzato un bellissimo spettacolo.
Quest’impagabile e intraprendente giovane religiosa, che anch’io ho avuto il piacere d’incontrare, ha intuito che la danza può aiutare a esprimere la sofferenza, ma anche la voglia di riscatto e la sete di speranza.
E così, con l’incedere della musica, i movimenti dapprima impetuosi, quasi rabbiosi, diventano fluidi e armoniosi per testimoniare il bisogno di leggerezza, di un respiro nuovo.
Nei giorni successivi, Lucia è andata a trovare gli oltre 180 scolari ai quali, grazie a uno dei progetti più recenti, è stato possibile garantire il pranzo.
I pasti, vissuti in allegria e con grande rispetto per il cibo, si trasformano in una “palestra” di equità, perché ogni bimbo, a turno, prepara le porzioni per sé e per i compagni.
Mentre la chiacchierata volge al termine, affronto con la mia ospite la questione della barriera linguistica e, nell’istante in cui realizzo che la presenza di qualcuno che parla inglese renderebbe tutto più semplice, capisco anche che l’autenticità di una presenza disposta a calarsi in una quotidianità diversa dalla propria e a viverla fino in fondo viene percepita al di là delle parole.
Federica Causin